“Il Barone dell’Alba” di Stefano Valente, Graphofeel edizioni
di Patrizia Poli (Signora dei Filtri)
Una scrittura straordinaria, non ci sono altri termini per definire lo stile di Stefano Valente ne Il barone dell’alba. Non è il contenuto a colpire e affascinare, non è la trama di questo romanzo picaresco ed erudito, ma l’espressione colta, raffinata eppure scorrevole, visiva, narrativa. Ci sono pezzi meravigliosi, come la descrizione raccapricciante dell’autodafè, il rogo dei presunti eretici. Non saprei immaginare un modo migliore per mostrare la scena, per farla vedere, toccare, annusare e, allo stesso tempo, renderla letteraria, dotta, elegante.
Meno attraenti i linguaggi inventati - siciliano, ispanico-partenopeo, tedesco - che di sicuro intrigano il glottologo Valente ma appesantiscono il lettore comune.
Andiamo per ordine: abbiamo l’espediente narrativo del manoscritto ritrovato, con tanto di postille erudite, abbiamo un romanzo d’avventure rocambolesche e frenetiche che a me ricorda il Simplicissimus del Grimmelshausen, Il cimitero di Praga di Eco e anche Memorie d’un bugiardo di Marco Saverio Loperfido. Abbiamo una città immaginaria, Dorantia, che ci riporta alla Venezia del settecento, abbiamo la cerca di un oggetto, il quadro d’una fanciulla vagheggiata dal protagonista, una fanciulla con occhi di aurora, con occhi d’alba, di quel momento inconfondibile fra luce e buio, fra sole e oscurità, fra bene e male. Abbiamo come protagonista il rampollo di una famiglia nobiliare borbonica, il barone Francesco di Santamaria di Caloria, inviato dal padre a fare il gran tour, e un attraente e inquietante coprotagonista, lo sbirro Velasco. Abbiamo una serie di simboli, come ad esempio la freccia, inizio e fine, uroboro - serpente o coccodrillo! - che ci riporta al punto di partenza, abbiamo visioni e suggestioni oniriche. Intorno, luoghi meravigliosi e tenebrosi, deserti e segrete, prigioni e sotterranei, dalla Sicilia a Malta all’Egitto, e un caravanserraglio di personaggi sorprendenti: banditi, cardinali, nani, streghe, inquisitori, monache e pirati, fra culti esoterici e rimandi dotti a non finire.
Nonostante il ricco apparato culturale sotteso al romanzo, la storia riesce ad essere avvincente e lo stile, oltremodo letterario, non difetta di quelle tecniche che rendono appassionante la narrazione. Un romanziere, Stefano Valente, che ha molto da spartire coi grandi classici ed è, a tutti gli effetti, un autentico signore della scrittura.
Qui puoi ascoltare l'intervista a Stefano Valente per la nostra rubrica Radioblog.